Suggerimenti e tecniche per narrarsi online.

Al via Invasioni digitali! Anche a Bologna

#Invasionidigitali: ovvero una case history digitale [in corso] che sta dimostrando grandi potenzialità. Un progetto culturale e di aggregazione sociale, un esperimento di storytelling del Patrimonio Artistico. Inizia domani la settimana dedicata alle Invasioni del Patrimonio Artistico italiano.

Una settimana in cui sono stati organizzati più di 300 eventi in tutta Italia, come testimonia la pagina facebook del progetto. Tutto nasce dalle persone (per lo più blogger e smanettoni della Rete) che hanno accolto l’invito di Fabrizio Todisco a organizzare un’invasione nella propria città.

L‘idea:

Nella settimana tra il 20 e il 28 Aprile 2013, con il tuo aiuto siamo pronti ad organizzare le #INVASIONIDIGITALI, un progetto ideato daFabrizio Todisco in collaborazione con la Rete di travel blogger italiani di #iofaccioreteOfficina turisticaInstagramers italia e l’Associazione nazionale piccoli musei. 

L’iniziativa  prevede l’organizzazione di diversi mini-eventi (invasioni) presso musei e luoghi d’arte italiani e si rivolge a blogger,instagramer, appasionati di fotografia e a qualsiasi persona attiva sui social media.

L’obiettivo è quello di diffondere la cultura dell’utilizzo di internet e dei social media per la promozione e diffusione del nostro patrimonio culturale

Ogni invasione sarà organizzata secondo la formula del blogtour e sarà possibile partecipare ad una delle invasioni in  programma o organizzarne liberamente una, tutti i partecipanti potranno realizzare i loro contenuti utilizzando il tag #invasionidigitali, saranno utilizzati i seguenti canali social: Facebook, Twitter, Instagram, Pinterest & Youtube, tutti i contenuti realizzati saranno aggregati su questo portale.

[Gli hashtag per seguire e raccontare tutto l’evento: #invasionidigitali #liberiamolacultura]

Anche a Bologna ci siamo dati da fare con alcune iniziative (tutte gratuite) per contribuire a questa iniziativa che non si esaurisce con l’evento: sarà interessante vedere infatti come verranno raccolti e aggregati i contenuti prodotti durante le invasioni, per creare una narrazione a disposizione di tutti dei luoghi d’arte coinvolti.

Per gli interessati, ecco gli eventi in programma (compreso quello che ho voluto organizzare anche io in collaborazione con il Museo del Patrimonio Industriale):

Per partecipare è necessario iscriversi a ogni singolo evento (seguendo il link). Scaldate i polpastrelli e preparate i vostri account su Twitter e Instagram. [il post dedicato all’evento su Panzallaria]

[gli eventi al Museo del Patrimonio Industriale  e in Certosa sono aperti anche ai bambini] 

L’importanza di stare accanto ai nostri figli quando usano web e social media

Da un paio d’anni mi capita spesso di tenere corsi o laboratori per genitori, insegnanti e adolescenti sull’uso consapevole della Rete e dei Social Media. Nel tempo l’interesse verso questi temi è – giustamente – aumentato. Le scuole cominciano a sentire il tic tac incessante di un “orologio biologico” che preme: la forbice tra il modello di sapere che abbiamo tramandato per generazioni e un nuovo approccio alle cose di chi cresce oggi si sta decisamente allargando.  E’ di pochi giorni fa l’ultimo rapporto OCSE  su tecnologia e scuola e ci dice che

il Piano per digitalizzare le scuole avanza troppo lentamente. Solo 6 pc ogni 100 studenti. 15 anni di gap con la Gran Bretagna

Il Gap non è solo strumentale ma anche culturale: secondo Eu Kids Online i genitori italiani sono poco consapevoli dei rischi che corrono i propri figli in rete senza una guida e regole chiare.

Siamo il popolo degli smartphone e dei tablet [10 Rapporto Censis/Ucsi sulla comunicazione]:

I telefoni cellulari sono ormai utilizzati dall’81,8 per cento della popolazione italiana, con un numero di utenti che è cresciuto del 2,3 per cento, anche grazie agli smartphone (+10 per cento in un solo anno), la cui diffusione è passata tra il 2009 e il 2012 dal 15 per cento al 27,7 della popolazione. Il rapporto sottolinea inoltre che gli smartphone si trovano tra le mani di più della metà dei giovani (54,8 per cento), i quali utilizzano anche i tablet (13,1 per cento) più della media della popolazione (7,8 per cento).

Eppure non abbiamo ancora chiaro in che modo affiancare i nostri figli per accompagnarli a un uso consapevole (e proficuo) della Rete.

Durante gli incontri con i genitori e gli insegnanti, quello che mi preme sempre, oltre a analizzare i rischi connessi (cyberbullismo, sexting, dipendenza, ecc), è parlare di quelle che sono le opportunità offerte da un buon uso della Rete: sono convinta che se sia noi che i nostri figli riescono a  individuare obiettivi creativi, di cittadinanza, di formazione partecipata, si disinnescano molte mine.

In Rete prima ancora di navigare dobbiamo imparare a nuotare per stare a galla, convivere con un rumore di fondo spesso assordante, selezionare le informazioni e prenderci cura del nostro profilo digitale perché cresca e prosperi a lungo.  La cultura digitale, così come l’ha definita Henry Jenkins in Culture partecipative e competenze digitali, Media Education per il XXI secolo, Guerini Studio, 2010 è:

un termine che taglia trasversalmente le pratiche educative, i processi creativi, la vita di comunità e la cittadinanza democratica. Il nostro obiettivo dovrebbe essere incoraggiare i giovani a sviluppare le competenze, le conoscenze, i quadri etici e l’autostima necessari per partecipare a pieno titolo alla cultura contemporanea

Ecco allora quali sono – a grandi linee – i passaggi importanti da compiere insieme ai propri figli per gettare qualche semino e aiutarli a sviluppare queste competenze:

Profilo digitale

Da un grande potere derivano grandi responsabilità

(cit. Spiderman)

Settiamo le impostazioni di privacy dei social network che frequentiamo, monitoriamo ciclicamente la nostra presenza su Google per capire se siamo consapevoli di quello che gli altri vedono di noi, non facciamo ad altri quello che non vorremmo fosse fatto virtualmente a noi.

Condividiamo saperi

I nostri figli saranno pure degli “smanettoni” in grado di capire subito come funziona un tablet o come si imposta la suoneria dello smartphone, ma noi abbiamo un po’ di saggezza dovuta a esperienza, età e modello culturale “verticale” (siamo più abituati ad approfondire meno cose, mentre loro probabilmente hanno una capacità di saltare da una cosa all’altra 100 volte meglio della nostra). Mettiamo insieme questi ingredienti differenti per ottimizzare il nostro modo di stare in Rete. Loro possono sperimentare gli strumenti, noi possiamo coinvolgerli nello studio critico delle fonti per orientarci un po’ nel mare magnum delle informazioni online e loro veridicità.

Mettiamo delle regole

Il nostro senso di inadeguatezza tecnologica non deve sottrarci al nostro ruolo di genitori e si sa, i genitori sono anche quelli che stabiliscono le regole (di uscita, uso del telefono, uso del motorino, compiti e ANCHE uso del web).

Con l’avvento di tablet e smartphone vale poco la regola di tenere il computer in un luogo centrale e di passaggio della casa: ormai quel vecchio mastodonte serve solo a fare i compiti, non certo a gestire le relazioni online sui social media! Anche tablet e smartphone devono essere soggetti a un patto.

Tempi d’uso: Importante allora sapere che esistono sistemi di parental control per dispositivi mobili che ne consentono l’uso solo per un tempo determinato e che inibiscono certi tipi di navigazione o l’approdo a siti a pagamento, per esempio.

Accordo: Personalmente ho trovato geniale l’idea di una blogger americana che – al momento di regalare lo smartphone al figlio quindicenne – ha redatto un contratto con lui. Sono 18 regole d’uso e relative “sanzioni”

 

Io credo che questi siano alcuni semplici suggerimenti che possono davvero cambiare il nostro modo di vivere un momento fondamentale nella vita dei nostri figli, ovvero quello in cui diventeranno ANCHE dei cittadini digitali (e avverrà prima di quanto non succeda fuori dalla Rete!).

Noi possiamo rimanere in disparte o decidere di vivere con loro questo momento, aiutandoli con quello che abbiamo imparato (e il fatto che ci sentiamo poco alfabetizzati a livello digitale non è necessariamente sminuente, la Rete è prima di tutto un luogo dove esercitare le competenze acquisite nella vita).

Possiamo pensare che non ci riguardi perché ormai per noi i giochi sono fatti e preferiamo di gran lunga leggere un libro che passare il pomeriggio su facebook, oppure possiamo metterci in gioco e scoprire che anche attraverso facebook (tanto per citarne uno) possono succedere delle cose che hanno a che fare con la cittadinanza, con la possibilità di conoscere cose nuove (magari grazie alla Serendipity ) e con la nostra formazione continua, passando attraverso la condivisione.

E’ in atto un cambiamento ed è sotto gli occhi di tutti, per poter partecipare occorre conoscere e oggi per conoscere occorre anche sviluppare un buon livello di cultura digitale.

Per conoscere la mia offerta formativa, ecco il progetto Tessere la Rete con tutti i corsi per genitori, insegnanti, adolescenti e anche aziende. Contattatemi per info

Blog: opportunità, luoghi morti o voci dal passato?

Da circa un anno e mezzo ho cominciato a occuparmi di formazione, sia per libero professionisti e aziende che nelle scuole e con i genitori degli adolescenti.

Posso dire di avere conosciuto un discreto numero di giovani tra i 12 e i 16 anni e di avere raccolto testimonianze molto interessanti circa il loro uso della Rete.

Ciò che porto nei laboratori in classe, dedicati a “opportunità e rischi di web e social media“, si è evoluto e modificato proprio in base a queste testimonianze.

Nei primi tempi davo per scontato che sapessero che cos’è un blog:  molti di loro invece non ne avevano idea e ho dovuto cambiare registro, spiegare, approfondire il tema.

Ciò che fino a 4 anni fa ERA il web sociale, oggi non è che un décalage un po’ arrugginito della bacheca di Facebook.

Ho cominciato a domandarlo a loro che cosa pensano sia un blog e le risposte che mi hanno dato sono state davvero illuminanti.

Il blog è come facebook solo fuori da facebook.

 

Il blog è il vecchio sito

Hanno 15 anni e vivono la Rete molto diversamente da me che – ogni giorno online – sono abituata a riflettere consapevolmente sul mio uso dei Media.

E’ diverso il loro approccio o è cambiato il web e i mezzi con cui lo fruiamo? 

Sono un po’ vere entrambe le affermazioni e si contaminano tra loro.

Quello che prima era il centro di una rivoluzione silenziosa di punti di vista sul mondo, spesso personali e personalistici, d’inchiesta o semplicemente auto narrazione, ha mutato il proprio ruolo, acquisito diversi significati.

Il blog – inteso come “diario”, come racconto del se’ o narrazione aneddotica con un pubblico affezionato di lettori – non esiste quasi più.

E non perché ora tutti sono su facebook, ma semplicemente perché è diverso il modo in cui percepiamo e veniamo a contatto con i contenuti.

I blog oggi sono luoghi specialistici anche quando nascono come narrazione: il blogger è consapevole di esserlo o volerlo essere ancora prima di aprirlo il blog, lo progetta, lo costruisce con obiettivi specifici e il suo essere blogger diventa, fin da subito, un’etichetta universalmente riconosciuta.

Abbiamo tutti un profilo digitale, una nostra identità sul web fatta di tutti i pezzi che disperdiamo su twitter, pinterest, facebook, flickr, youtube, ecc e quando decidiamo di aprire un blog, se lo facciamo è perché abbiamo un obiettivo.

Il darsi un obiettivo (sia anche solo “far divertire”) e costruire un’immagine coordinata consapevole, sono elementi di profondo cambiamento rispetto a quanto succedeva per la maggior parte fino a pochissimi anni fa.

Oggi non abbiamo più bisogno di una casa virtuale per parlare delle nostre emozioni: rapidamente lo possiamo fare su twitter; se vogliamo una piazza raccolta di “amici” virtuali  abbiamo facebook.

Il tag ad un’immagine diventa nodo di contenuto, un video condiviso su youtube ci identifica più di un lungo post e quando leggiamo, lo facciamo perché un rilancio sul social ci ha incuriosito, perché un autore di cui abbiamo fiducia ha condiviso un post o semplicemente perché seguiamo un argomento attraverso un hashtag.

Il pubblico dei blog è cambiato, la comunità si è spostata di casa e anche il blogger ha evoluto il suo ruolo, ha spostato i luoghi della riflessione o – semplicemente – ha vocato la sua passione a fini professionali.

C’è chi ha nostalgia di una presunta “età dell’oro” dei blog, quando eravamo tutti più giovani, più ingenui, più belli e i link della nostra blogroll, il numero di “lettori fissi” e le relazioni con altri blogger erano il patrimonio più prezioso di cui disponevamo.

C’è chi punta il dito contro facebook o twitter, imputando a loro l’avvento della brevitas e della frammentazione.

Io credo che la direzione presa fosse quasi inevitabile: i blogger della prima ora hanno colonizzato la Rete dimostrando di essere i primi “sperimentatori”, lo hanno fatto con l’innocenza tipica della curiosità, senza sapere in che direzione li avrebbe portati aprire il proprio spazio, hanno cominciato a scrivere con il brivido di sapere che la loro scrittura – spesso privata prima – aveva ora un uditorio e che poterla condividere era tutto sommato molto semplice, si sono inventati nickname di fantasia, location tra il reale e il narrativo e soprannomi per coprotagonisti delle loro avventure, dando per implicito che quello del blogger doveva rimanere, per lo più, un vizio privato in un mondo altro rispetto a tutte le sfere della vita pubblica.

Ad un certo punto il web “fatto dal basso” ha allargato le proprie maglie, è diventato cosa di tutti (tutti quelli che possono disporre di un accesso alla Rete) GRAZIE a strumenti come Facebook e le paure legate alla propria privacy sono state lasciate alle spalle dalla voglia di costruire un proprio profilo digitale: era passato abbastanza tempo dalla prima connessione globale per avere introiettato il concetto di realtà moltiplicata, abbandonando l’idea che esista un “mondo reale” dicotomico rispetto a un “mondo virtuale”.

Il blog è diventato così un plus, qualcosa di cui si può fare a meno senza per questo rinunciare a contribuire con uno status o un tweet alla produzione di contenuti online e piano piano il blogger ha perso la sua specificità come persona/blogger acquisendone contemporaneamente come professionista/blogger.

Il blog non è più il luogo dove tessere relazioni, se mai è quello dove approfondire, coltivare il proprio profilo digitale o una passione, dove fissare la nostra opinione. Era nato come luogo fluido, oggi è il luogo del personal branding, della scrittura come esercizio e dell’opinione “depositata”.

Siamo cambiati noi che ci scrivevamo e sono cambiati coloro che ci leggono.

L’urgenza della scrittura fine a se stessa, quando la nostra esperienza è stata continuativa e fonte di professionalizzazione (come nel mio caso con Panzallaria) si è fatta scrittura che ha obiettivi e si evolve, declinandosi in altri luoghi dove possiamo esercitare (magari pagati) il nostro privilegio di venire considerati “opinionisti” autorevoli per qualcuno, su qualcosa.

Eppure il blog è –  e per il momento resta – la vera palestra in cui rafforzare il proprio profilo digitale, farlo crescere e aiutarlo a prosperare bene: per i più giovani un’occasione per mettere in gioco creatività, per noi il luogo dove sentirci liberi ma allo stesso tempo fare sedimentare quello che impariamo e vogliamo condividere con altri.

Il blog non è morto, è semplicemente cambiato.

Tra i tanti contributi che circolano sull’argomento, invito a leggere Leonardo di cui cito un estratto che mi ha colpito forse perché in qualche modo riguarda un po’ anche me:

Non è neanche una questione di soldi, che sono sempre veramente pochi, così pochi che discuterne, oltre che ineducato, è persino ridicolo. Il 2012 è stato l’anno dell’arrivo in Italia dell’Huffington Post, che peraltro io leggo poco e anche voi; ma non importa: importa la filosofia che l’HuffPo sottende, e che si può sintetizzare in “scrivi gratis e ringrazia”. Io non ce l’ho con chi scrive gratis, ci mancherebbe altro. Non credo che la produzione di opinioni gratis su internet possa abbattere il giornalismo, quello vero, fatto di inchieste sul campo. Sono ancora il primo a meravigliarmi che alcune mie opinioni, in determinati contesti, possano avere un prezzo. Non è una questione di soldi, è un tentativo di sembrare, dopo tanti anni, un po’ professionale in quello che faccio. Mi pare che ancora non ci siamo. Però la strada è questa.

Concludo citando invece un post in cui la nostalgia per i tempi in cui la Rete era prevalentemente dei blogger di AxelWeb non perché lo condivido in toto ma perché lo trovo molto indicativo di un sentimento che si percepisce forte:

Quindi? Quindi l’anno che si è appena concluso è stato indubbiamente l’anno di Twitter, di Pinterest, di Instagram e ovviamente di Facebook, tanto odiato e tanto amato.
La gente è tutta lì e a differenza degli esordi della blog mania (circa 10 anni fa) è gente normale, è un popolo che dialoga e non è una micro élite che parla di cose tecnicose e difficili. Infondo è quello che volevamo tutti, tutti meno l’élite forse (anche se a parole ci prodigavamo in frasi tipo “manca la massa critica” oppure “dobbiamo rendere il blog un fenomeno di massa”, ma non ci credeva nessuno).
Ora siam qui, in un limbo un po’ strano, con i nostro blog sopravvissuti (quello che state leggendo è nato su Splinder (defunto a inizio 2012) a maggio del 2003 per poi migrare nella forma attuale nel 2005). Siamo una specie di tribù di sopravvissuti che si legge nel loop degli status di Facebook o nei link di Twitter. Una cosa un po’ buffa, un po’ paradossale.
Ci chiuderanno in una riserva, saremo in pochi e continueremo.
E la frase sarà: “una volta c’erano i blogger, tanti anni fa e bloggavano liberi nelle praterie del web, senza sapere cosa fosse un like o un +1.

 Foto in copertina: Copertina di Internet News (maggio 2003). Nel numero un approfondimento sui blog molto interessante di Giuseppe Granieri 

La violenza sulle donne parte anche dalla comunicazione

Non servono grandi proclami se non cambia il modo di intendere la donna come oggetto. E deve cambiare anche nella comunicazione: ideologismi e prese di posizione politica rimangono e sono FUFFA. Parliamo con le persone, con il linguaggio delle persone. Perché l’istinto triviale che ci porta a commettere violenza si forma, cresce e promuove anche su questo humus fertilissimo che è la COMUNICAZIONE, ovvero la cornice di contesto con cui intendiamo il mondo.

L’ennesimo esempio di una pubblicità davvero brutta, per la quale vale la pena di scrivere allo IAP. L’azienda è la Bioexen e chi si è occupato del video (non so se anche del cartaceo) Emme Comunicazione

Foto

 

 

 

 

 

Video

Narrare la propria identità online

Le slides del mio intervento di lunedì 12 novembre 2012 presso l’Informagiovani del Comune di Bologna.

Obiettivo: raccontare ai giovani che si affacciano sul Mercato del lavoro (età 20-28 anni) come definire la propria identità online in modo da costruire una narrazione di se efficace per valorizzare i propri punti di forza.

Ho messo in gioco la mia esperienza, il modo in cui io stessa ho costruito e narro la mia storia, affinché sia un curriculum in progress che definisce i miei valori e le mie peculiarità di persona e professionista (anche attraverso le mie umanissime imperfezioni).

Ho messo a frutto anche i miei studi letterari: credo infatti che la Teoria della Letteratura sia un ottimo punto di vista per decodificare la comunicazione web e che Propp, Calvino e il web abbiano molte cose in comune.

Ecco qua le slides (formato smart rispetto a quelle usate a lezione)

Nativi digitali: il ruolo della generazione dei nati negli anni 70

Premetto che la definizione “nativi digitali” tanto quanto quella di “immigrati digitali” mi è sempre stata un po’ stretta perché presuppone una cesura generazionale che viene marcata in maniera eccessiva e che può risultare ancora più ghettizzante per gli uni e per gli altri.

Detto questo, ormai è un fatto che se si parla della relazione tra tecnologie e giovani generazioni, si parla di nativi digitali.

Come professionista che si occupa di web, mi è sempre sembrato importante collaborare al discorso e impegnarmi in prima persona sul tema dell’alfabetizzazione digitale, perché credo sia alla base di una innovazione sociale necessaria.

Immersi nella rivoluzione culturale di Internet, la forbice generazionale tra “prima” e “dopo” sembra ancora più evidente che in altri momenti storici: è cambiato il modo di pensare e vivere la realtà, stiamo costruendo nuove dimensioni in cui percepire il nostro essere e per chi ci è arrivato adulto,  l’adattamento non è sempre agile.

Per contro chi nasce oggi naturalizza un modo di guardare al mondo, di percepire se stesso e gli altri e di usare gli strumenti che è completamente diverso da quello con cui la mia generazione (i nati nel decennio 70) ha fatto i conti durante l’infanzia e l’adolescenza. I nativi digitali hanno dalla loro velocità e modelli ma proprio per questo sono spesso inconsapevoli  delle opportunità e dei rischi  della Rete.

Il gap è biunivoco ed è prima di tutto legato all’approccio con cui usiamo il mezzo (gap culturale prima che tecnologico), più che allo strumento.

Siamo nel bel mezzo di una rivoluzione vera e propria.

Digito ergo sum

Noi però siamo anche stati i primi ad avere attraversato questa rivoluzione. Siamo arrivati prima del cellulare, lo abbiamo avuto da adulti, ma non eravamo abbastanza vecchi per sentirlo lontano. Ci ricordiamo di Pac Man al bar e di Frog sul vecchio Mac di papà. Siamo rimasti a bocca aperta ricevendo la prima mail e qualcuno conserva ancora pile di floppy disk o cd per riavviare il computer.

Internet e gli hyperlink ci hanno cambiato, piano piano, la vita. Eravamo all’Università e se fino all’anno prima facevamo ricerche bibliografiche percorrendo chilometri a piedi da una biblioteca all’altra, l’anno successivo usavamo gli Opac.

Siamo stati i primi ad avere un personal computer e a usarlo per lavorare.

Alcuni di noi si sono innamorati di Internet. A me è successo all’Università dove per curiosità ho frequentato un seminario di Informatica Umanistica e html. Ho deciso di sposare questo nuovo approccio al mondo (che volete – ho fatto una tesi sul doppio e la moltiplicazione dei punti di vista, potevo non rimanere affascinata da un luogo da cui potenzialmente puoi prendere infiniti percorsi attraverso un clic?) e di farne una professione.

Altri lo usano per informarsi, alcuni per fare shopping, la maggior parte per gestire la propria posta personale e professionale.

Condivido ergo sum

Poi sono arrivati i Social Network e il cambiamento si è sedimentato, perché non aveva più a che fare solo con il nostro rapporto personale con lo strumento, ma con le relazioni tra le persone. Si è sedimentato ma ha cominciato anche a marcare il passo tra un modo e un altro, una generazione e un’altra.  [Su Storify ho raccolto qualche spunto interessante dalla Rete per capire come si parla e quali sono i dati d’uso legati al tema degli adolescenti nell’uso dei Social Network].

Eppure in tutto questo percorso, chi lo ha attraversato ha dalla sua dei vantaggi che non possono essere sottovalutati e vanno usati per un dialogo proficuo con i nostri figli, per una “traduzione” che permetta al prima di connettersi con il dopo, prendendo il meglio di due modelli di pensiero, due modi di relazionarsi al mondo e alle persone.

Perché se i più giovani hanno una naturale predisposizione al multitasking, alla connessione e condivisione, noi abbiamo dalla nostra lo spirito critico necessario per un approccio consapevole alle fonti e alle relazioni, nelle mille sfumature che il virtuale appiattisce e rende ugualmente appetibili tra loro.

E’ un dovere, il nostro che dobbiamo esercitare. Specialmente se abbiamo figli (ma non solo), dobbiamo imparare a usare i mezzi, a sperimentarli con loro. Dobbiamo entrare nel gioco per capirlo. Siamo la cornice culturale all’era digitale.

Per questo motivo sto investendo molte energie nella formazione, perché credo che sia l’unico modo per rendere davvero efficace quello che ho imparato in questi 14 anni di web (credo di avere avviato il primo browser nel 1998 o poco prima). Per questo motivo bisogna puntare su genitori e insegnanti, perché è rendendo meno inadeguati coloro che si occupano dell’educazione delle generazioni più giovani che possiamo innescare un cambiamento condiviso che sia anche innovazione sociale. Ecco perché il nome del mio corso: Gioco di squadra. Perché si, sono convinta che per fare rete, serva un buon gioco di squadra tra le generazioni.

Ne ho parlato anche con Radio Città del Capo e Coop Voli di Bologna che insieme stanno avviando un interessante progetto sulla cittadinanza digitale dei più giovani che si chiama Stati generali per i nativi digitali.

Ecco l’intervista che mi hanno fatta e che è stata proiettata il 30.10.12 a Smart City Exhibition

Per saperne di più sui miei corsi: il progetto Tessere la Rete

[foto in copertina scattata e ritoccata da mia figlia con l’Ipad all’età di 5 anni]

Blogger, digital P.R, strategie Social: spiegare questo lavoro a mia nonna

L’allenamento migliore è stato tentare di raccontarlo a mia figlia. La domanda “che lavoro fai?” mi ha messo in crisi per anni, difficile spiegare alla nonna che lavori con l’internet. La riflessione più seria l’ho fatta chiacchierando con un’amica che fa un lavoro molto simile e che una volta ha detto: “In fondo quello che facciamo noi è pubblicità, la puoi raccontare come vuoi, ma quello è!”.

Ci ho messo mesi per elaborare la tagline di questo blog, spiegare in pochissime parole il cuore della mia professione. Ora però voglio spingermi oltre e cercare di mettere in fila (come se lo spiegassi a mia suocera) cosa significa fare la blogger professionista e occuparsi di Digital P.R e Strategie Social. Continua a leggere

Adotta una blogger e mandala al Salone del Libro di Torino, sabato

Mi piacerebbe molto andare al Salone del Libro di Torino, sabato.

Ma diciamo la verità: i treni costano e io in questo periodo devo risparmiare.

Metto allora all’asta la mia professionalità.

Se sei un giornale, una libreria, una piccola casa editrice, una tv locale o altro ti propongo uno scambio estremamente conveniente:

tu mi paghi i biglietti del treno alta velocità (Bologna-Torino e ritorno), nella giornata di sabato, il biglietto di ingresso al Salone più le spese per i pasti e io seguo (con livetweet ed eventuale aggregazione contenuti successiva) 1 evento/presentazione per conto tuo e quando torno scrivo anche un articolo per il tuo sito/magazine su quello che ho visto al Salone durante il mio giro libero.

Ovviamente promuoverò il post e la nostra collaborazione di mutuo scambio.

L’iniziativa “Adotta una blogger appassionata di libri” fa parte della campagna #proposte anti crisi: un modo creativo per stare al mondo.

Nessun blogger è stato maltrattato per la realizzazione di questa iniziativa.

Se vuoi aderire alla campagna scrivimi a: francesca.sanzo@gmail.com

 

La social content curation e Storify

E’ il mio pallino da un po’: da quando grazie ai social media l’informazione da gestire è diventata un flusso che ognuno di noi deve riorganizzare per potere avere una panoramica completa di una notizia, ha ancora senso duplicare contenuti identici, nello stile “comunicato stampa”?

Non è forse meglio seguire la notizia e diffondere i punti di vista, anche divergenti che produce?

Come blogger, quando mi arriva un comunicato stampa, arriccio sempre il naso perché alla piattezza di un testo preferirei una serie di link che rimandino a sito web, eventuale hashtag o profilo su twitter e pagina su facebook. Preferirei “seguire” l’evento e la notizia, piuttosto che lanciarla.

La protagonista della comunicazione ai tempi dei social media non è più la mano che tira il sasso, ma i cerchi nell’acqua che il sasso produce.

Il compito di chi si occupa di Online Media Relations o di chi – come me – fa un lavoro reputation-oriented più che marketing-oriented e che quindi ha il compito di studiare strategie che valorizzino i contenuti e la reputazione di un marchio o di un progetto, è di misurarsi quotidianamente con la social content curation: la cura dei flussi di contenuti prodotti on line, sui social media e non.

Contenuto è un articolo di approfondimento, ma contenuto è anche il dibattito che vede nascere un hashtag su twitter, una discussione su Facebook o una serie di post tematici che rispondono l’uno all’altro.

Oggi realizzare un contenuto informativo intorno a un progetto, un’idea, un momento storico o un evento culturale e/o politico ha un costo in termini di tempo da dedicargli e il valore aggiunto non è più fare lo scoop, ma approfondire al massimo l’inseguimento del flusso di reazioni che suscita un contenuto.

Realizzare una storia on line –  quando è condivisa in tempo reale e ci riguarda tutti, come può essere anche un meraviglioso doppio arcobaleno su Bologna –  non significa necessariamente (o solo) scrivere qualcosa di nuovo ma anche raccogliere e aggregare l’esistente.

Da qualche tempo uso in maniera strategica per il mio lavoro ma soprattutto per la mia crescita personale e professionale, Storify.

Storify permette di aggregare contenuti diversi (da twitter, facebook, instagramm, blog, ecc) e riproporli in una forma accattivante, costruendo rapidamente il flusso di quanto è stato scritto, detto, montato. Sta poi al lettore esplorare le infinite possibile che offre un post su Storify (lettura consequenziale che diventa cronaca o approfondimento verticale esplodendo le proposte contenute).

Storify è diventato per me uno strumento indispensabile.

Se partecipo ad un evento, faccio la cronaca su twitter (stando ben attenta a riportare brevi frasi di senso e non solo di contesto), scatto qualche foto che rilancio attraverso Instagram e quando torno a casa ricostruisco il mio lavoro (completandolo con quello di tutti coloro che hanno seguito l’evento su twitter o attraverso post sui loro blog o video e foto) su storify per creare una cornice che contenga la notizia e permetta a chiunque di ricostruire il contesto dall’informazione e non viceversa.

Io ho imparato a usare Storify usando questo video tutorial  e leggendo questo articolo di Alessandra Farebegoli.

La Content Curation è la prospettiva con cui guardo al mio lavoro, uno degli aspetti più qualificanti di una professione come la mia. Ecco allora che proprio grazie a Storify ho raccolto qualche interessante punto di vista sul tema.

Torna le nuove professioni delle donne: 14 aprile 2012, Bologna

La rete, il web e il digitale possono diventare delle vere opportunità professionali?

In che modo le donne hanno incontrato e si sono messe in gioco grazie alle professioni legate all’ITC e alla comunicazione web? Ce lo racconteranno le relatrici di le nuove professioni delle donne per una testimonianza diretta a persone fisiche, associazioni e enti interessati a comprendere concretamente come si possa fare business e sviluppare idee imprenditoriali al femminile, grazie a questi mezzi.

Le relatrici invitate sono:

  • Lidia Marongiu: consulente nell’ambito della comunicazione e del marketing strategico
  • Annalisa Uccheddu: dopo la laurea, ha deciso di investire nella sua passione per i libri creando una casa editrice di e-book che si basa su progetti e contatti sviluppati online. Dall’editing, allo scouting, fino alla vendita, ha creato una vera e propria azienda
  • Alice Reina: attrice, storyteller e creativa grazie alla rete sviluppa idee per i prossimi laboratori e spettacoli di teatro sociale. Crea decorazioni personalizzate per torte e ne racconta su Bologna In Torta. I suoi sitiassociazionehecate.net + bolognaintorta.it
  • Lisa Ziri di Nemoris start-up al femminile nata nel 2011, ideatrice insieme a Silvia Parenti di ILexis, un software semantico di archiviazione automatica.

Vi aspettiamo a Bologna, sabato 14 aprile 2012, dalle 10 alle 13.30 in via Pietralata 60, Quartiere Saragozza.

Potete iscrivervi su Eventbrite.

L’evento fa parte del progetto No Digital Divide ed è organizzato in collaborazione tra

GGD Bologna, Articolo37 e Francesca Sanzo

Hashtag su Twitter: #NPDonne