La sosta definisce il viaggio, anche quando si parla di vita. L’arte di vagare
È un periodo intenso: lavoro molto, spesso in giro per l’Italia e sento tanti input che mi attraversano il cervello. Dovrei scrivere. Dovrei studiare. Dovrei promuovere quel corso. Dovrei costruire quel progetto. Dovrei accompagnare più spesso mia figlia a karate. Dovrei mangiare meglio. Dovrei, dovrei, dovrei.
Lo so, non sono l’unica. Forse non sono l’unica, nemmeno, che sta attraversando una fase di distacco dai social network, uno di quei periodi che non ci si augura capitino a gente come me che grazie ai social racconta il suo lavoro, i suoi libri e ha conosciuto molte persone interessanti che l’hanno ispirata e che insomma – lo sa – quanto deve essere grata a quei posti lì.
Eppure faccio fatica. Tantissima. Non riesco più a immergermi come un tempo, entusiasta e piena di buoni propositi, in una discussione online che – la maggior parte delle volte – finisce in caciara.
Non riesco nemmeno più a confrontarmi con le narrazioni altrui: un tempo erano la mia forza positiva, ora il senso di essere sempre affaticata, indietro, lontano, prende il sopravvento e sento un forte bisogno di SILENZIO.
Leggo. In questo periodo la mia difesa migliore è la lettura. Leggo tanto. Leggo in treno. Leggo quando aspetto il bus. Mi sforzo di non guardare schermi (se non quello del kindle, eventualmente), di non rispondere immediatamente a messaggi e chat. Mi sforzo di esercitare il lusso di NON ESSERCI immediatamente.
Quando non sono in un’aula a fare lezione o da un cliente o su skype con un cliente, a casa mia preparo le lezioni, i progetti, i manuali di stile e redazione per clienti. Mi sforzo di scrivere, che ho 3 progetti nella testa, ma non riesco a prendere mai abbastanza tempo per farlo con la cura che vorrei. Anche questo è frustrante. Per fortuna mi sono data un punto e a aprile, maggio e giugno potrò concentrarmi sulla scrittura.
Non pensare che mi sto lamentando: nessun freelance sano di mente si lamenta perché il lavoro è tanto e va bene, ma tutti i freelance sanno che – essendo persone fisiche – hanno dei limiti umani e a volte bisogna fare attenzione a forzarli.
Per esempio, la settimana scorsa, è finita che dopo una serata davvero giovane, al concerto di Brunori Sas con la Sofi, io mi sia fatta prendere dal prurito dell’ansia del ditino puntato (il mio) e il giorno successivo mi sia presentata, in aula a Reggio Emilia dove parlo di content marketing e coppywriting, alle 9 del mattino, invece che come previsto alle 14.
Ero andata a letto tardi e così, per la paura di non svegliarmi in tempo, alle 5 ero già in piedi come un grillo. Quando mi sono palesata, occhiaia e tentativo di sembrare lucida, negli occhi dei miei studenti che si stavano preparando per una verifica ho visto passare lo stesso sguardo di altri studenti, molti anni fa, quando a scuola, una mattina, mi sbagliai aula e sedetti al banco di uno sconosciuto.
Ho smesso pure di bere il caffè che mi dava dei fastidiosi dolori alla pancia. Io ero drogata di caffè e dopo la sigaretta, questa rinuncia (che però mi sta facendo molto bene) ha dato una botta alla mia personale visione di me poeta maledetta!.
Sono una fottuta salutista. Sono diventata una fottuta salutista anziana che si è pure rimessa a dieta per depurarsi dopo tutti questi cambiamenti.
In questo contesto, ecco che venerdì io ho fatto una cosa che non facevo da tantissimo tempo. Era una bella giornata. Mia mamma avrebbe preso la bambina da scuola. Avevo finito prima di lavorare.
Io, venerdì, ho preso un libro e ho camminato fino a dove mi hanno portato le gambe. Le gambe mi hanno portata a Trame Librerie dove ho comprato Storie della buonanotte per bambine ribelli e un libercolo che mi è saltato in braccio dal titolo L’arte di perdere tempo, Patrick Manoukian.
Uscita da Trame, in attesa di vedermi con un’amica di passaggio a Bologna e che fa parte delle bellissime conoscenze che ho tessuto grazie ai workshop di scrittura autobiografica, mi sono seduta sui gradini di Sala Borsa, guardando verso il cubo che ha imprigionato il Nettuno per renderlo più bello e mi sono messa a leggere il perdere tempo.
L’attenzione e il tempo che dovremmo concedere a ogni sosta possono forse cambiarne l’essenza e renderla un momento privilegiato in grado di cambiare lo spirito stesso del viaggio.
Un libretto prezioso, che parla di viaggi, di soste, di un approccio al movimento che si focalizza sulle soste, sugli imprevisti e sulla loro importanza. Leggevo e mi dicevo che è proprio vero che la vita è un viaggio dentro al quale si fanno tanti viaggi, ha ragione Antonio Tabucchi e ha ragione anche questo Patrick Manoukian che non conoscevo. Quel che conta non è la meta, ma il percorso e l’attenzione che diamo a ogni momento del percorso, attenzione che non possiamo concedere alla nostra vita, se non fermandoci, ogni tanto.
Riappropriarsi del tempo significa assaporarne ogni istante guardando altro che il prossimo appuntamento, il prossimo obiettivo.
Ecco, io quando sono molto stressata, quando troppi obiettivi, appuntamenti, sfide, si stagliano all’orizzonte e costellano il passato recente, ogni tanto ho bisogno di fermarmi e posso farlo solo grazie al VAGARE.
Un libro, i miei piedi nelle scarpe giuste, gli occhi rivolti verso l’alto, verso gli interni delle case altrui, le orecchie che intercettano storie per strada, il naso che si riempie di odori colorati: solo questo mi serve per potere dare un senso completo a quello che sto facendo.
Voglio tenerlo a mente. Esercitarmi al vagare. Senza meta. E senza meta voglio che sia – in un senso filosofico – la mia vita. Quel che conta è il viaggio e il viaggio si auto definisce nei momenti di sosta, quando ci si prende un momento per riflettere intorno a tutto quello che abbiamo visto passare.
L’itinerario ci fa spostare nel tempo e nella spazio, mentre la sosta ci ricolloca al loro interno.
Bello questo libretto. Anche se non viaggi tanto, ne vale la pena: parla di vita, più che di destinazioni.
Bello ritrovarmi a leggerlo nella piazza della mia città, mentre all’improvviso, nella vigilia del suo compleanno, da mille auto, da mille case, da mille finestre, esce la musica di Lucio Dalla che rende Bologna un ventre materno accogliente e mi viene voglia di dire che sì, sono fortunata e felice e sto facendo davvero un mucchio di cose belle.
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Mi hai incuriosito, voglio leggerlo anche io!