La teoria delle parole piene: un augurio per il 2017
L’augurio che faccio a me stessa, ma anche a te, per il 2017, è quello di sforzarmi di usare parole piene, parole che hanno significato e sono mie (e non di altri) e di lavorare su quelle vuote per cambiarle. Voglio accettare sempre il fatto che potrei non essere capita e il contesto in cui mi muovo. 2017 è un numero primo: un ottimo nuovo inizio per esercitarsi a migliorare!
Adesso ti racconto come è nata la mia teoria delle parole piene e come voglio applicarla.
Il 31 dicembre 2016 avevo la febbre che – nella notte – è salita a 39. Sono riuscita a leggere un po’ e a dormire. Durante il sonno sono arrivati pensieri scoordinati ma illuminanti, scosse di elettricità che invadevano i miei neuroni e che hanno attraversato il mio cervello surriscaldato.
Mentre qualcuno mangiava cotechino io ho elaborato “la teoria delle parole piene” in uno stato di semi veglia onirica.
Niente propositi quindi per il 2017, niente liste infinite, solo un piccolo principio di cambiamento su cui lavorare che riguarda le parole e che – sono sicura – avrà effetti importanti su di me, sulle mie relazioni, sulla mia vita e sul lavoro.
Ma partiamo dall’inizio: il romanzo che ho letto in quei giorni non mi è piaciuto per niente. Non farò nome e cognome perché non è questo il punto, ma il motivo per cui non mi è piaciuto riguarda le parole scelte: banali, scontate, le parole “dovute” per descrivere ogni situazione o scenario atteso.
Il libro (acquistato ai saldi Amazon qualche mese fa) dovrebbe essere un noir, si rivela la brutta copia di uno di quei telefilm americani del sabato pomeriggio. Ci sono anche gli spiriti:
Immersa nella sua aura luminiscente, K. si era materializzata all’improvviso davanti a lei.
Viveva una vita più perfetta che prima.
Incantata dalla diafana figura.
Gli spazi erano ben organizzati e il giardino curato, constatò con soddisfazione. Non sarebbe stato difficile vendere una casa come quella, concluse in un attimo. La immaginò perfetta per una coppia con almeno un paio di figli…
Per me queste sono parole vuote che descrivono situazioni scontate in maniera scontata: ogni frase prevede la successiva. Poi, al di là del fatto che grammaticalmente “più perfetta” non è tollerabile ma voglio sperare sia solo una sbavatura della traduzione, cosa mi rappresenta una vita più perfetta della precedente?
Le parole vuote
Le parole vuote sono tutte quelle che sembrano volere dire qualcosa ma in realtà non vogliono dire assolutamente nulla, che acquistano significato se specificate e che possono essere usate come riempitivi. Un libro di parole vuote è un libro farcito ad hoc: alla fine ti lascerà solo con la pancia gonfia d’aria.
Anche una vita farcita di parole vuote è una vita farcita ad hoc e alla fine ti lascerà con la pancia (e soprattutto la testa) farcita d’aria.
Le parole vuote servono a togliere dall’imbarazzo: “Come va oggi?” chiesto a un collega, mentre già stai pensando ad altro.
Le parole vuote riempiono gli spazi con le persone con cui si hanno relazioni formali e ti tolgono dalla fatica di metterti in gioco davvero. Con il rischio di non piacere. Con la certezza di esporti. Con il dubbio di non essere compreso.
Ma se in un contesto formale usi solo parole vuote, quel contesto potrà trasformarsi mai in qualcosa d’altro?
Facci caso: ti sei spesso lasciato andare con le persone se loro lo facevano per prime, se alle tue parole vuote seguivano parole piene e se tu eri stata tanto fortunata da prestare attenzione in quel momento.
Come va?
Ascolti distrattamente il tuo cliente, intanto pensi già alla consulenza che devi fornirgli. Un “Come va?” dovrebbe essere il capo delle frasi con parole piene, in realtà è diventato il principe delle circostanze vuote.
Bene, perché ho deciso che voglio stare bene quest’anno malgrado sia per me un periodo molto faticoso e abbia attraversato una crisi personale importante che mi ha lasciato estremamente fragile. Piango spesso ma mi dico che va bene, forse è proprio questo il modo che ho per sentire la vita, adesso.
Cosa ha detto? pensi tra te e te, sei distratta, ma qualcosa hai colto. Qualcosa, in tutta quella franchezza, ti ha colpito. A parole vuote, qualcuno ha il coraggio di rispondere con parole piene che hanno significato, che raccontano qualcosa e allora un varco, un varco si apre. In te, in questa persona, nel vostro rapporto. Un varco che a quel punto sta a te mantenere aperto andando oltre e ripagandolo con altrettante parole piene.
Le parole piene
Le parole piene descrivono quello che provi, quello che vedi, quello che vuoi dire senza fronzoli, per quello che è. Qualcosa ti fa arrabbiare? Lo dici. Apertamente. Senza paura. Sai che potrai essere non capito. Sai che metterai in crisi qualcuno.
Sei fragile? Non temi di esporti: il mondo è questo, un luogo in cui vivono molte persone fragili. Le persone che si mostrano sempre forti sono un bluff, lo sai tu, lo sanno loro.
Le parole piene sono efficaci, o almeno ci provano, qualunque significato tu dia al termine efficace.
Per me essere efficace significa raccontare un posto, una situazione, un sentimento, un concetto in maniera chiara cercando di raggiungere il massimo risultato possibile nella vita personale e professionale e nel modo più comprensibile possibile per la persona cui mi rivolgo.
Il piccolo cambiamento per il 2017
Nel 2017 voglio sapere scegliere bene quando usare parole vuote (in alcuni contesti sono indispensabili) e quando parole piene e nella mia personale conta, vorrei che la bilancia propendesse per le seconde a fine anno.
Nel 2017 non voglio sentirmi ferita se – quando uso parole piene – qualcuno si spaventa e mi fa gentilmente capire che sono io quella strana. È successo e mi sono chiesta se ero sbagliata. No. Semplicemente, non tutti siamo pronti, non tutti siamo uguali.
Nel 2017 voglio impegnarmi per usare parole piene quando parlo e quando scrivo, a casa e sul lavoro. Perché ogni contesto ha le sue parole piene e anche una lezione di storytelling o di social media diventa decisamente più efficace se si usano parole piene.
Questa è il piccolo cambiamento che voglio, per quest’anno e che cercherò di mettere nel mio mondo.
Le prime conseguenze che intravedo sono:
- meno tempo sui social network: le mie riflessioni entreranno nel quaderno/diario che sto usando e quelle che voglio condividere saranno o qui o nei libri e racconti che andrò a scrivere. Le parole piene sono preziose, non vanno disperse e soprattutto non devono diventare rumore di fondo.
- meno relazioni “formali” scambiate per relazioni “amicali”: a ciascuno il suo posto, come è giusto che sia. Nel mio giardino voglio pochi fiori per curarli tutti ma apprezzo un giro all’orto botanico.
- più serenità mia e delle persone che frequento
- più empatia vera e solidale
- esercizio costante sulla mia scrittura: rileggere, svuotare, tradurre parole vuote, nello sforzo di spiegare sempre e non di riempire e basta
- esercizio costante sui miei pensieri
- maggiore creatività.
E tu, hai mai lavorato sulle tue parole?
Se hai voglia di iniziare con quelle che usi per raccontarti, ecco i prossimi workshop di scrittura autobiografica a mano con me: Bologna, in mezzo alla natura, 11 febbraio 2017 e Firenze, 11 marzo 2017. Puoi già iscriverti ad entrambi.
Ciao Francesca volevo ringraziarti per il tuo post dove ci inviti a parlare con meno parole di “superficie” e usare parole piu’ vere, quelle che rimangono nel dialogo con la persona che abbiamo davanti a noi. Ottimi anche i tuoi propositi x il 2017! Anch’io ho un blog che si chiama chebellocrederci.com ed è rivolto a noi donne che abbiamo il coraggio di metterci in discussione e che vogliamo stare meglio con noi stesse e con gli altri. Penso che i nostri blog possono davvero aiutarci a vivere meglio la nostra vita.
grazie Lory! che bello crederci: allo scrivere, alle buone parole 😉