Facciamo uscire la creatività dalla tomba per lavorare e vivere meglio
C’era una volta la creatività.
Era il tempo in cui – bambini – a qualcuno piaceva disegnare come fa mia figlia che dice che da grande farà l’architetto.
Qualcuno leggeva tantissimo e scriveva delle storie e allora, nel libro di Piccole Donne, aveva trovato il suo destino: come Jo si sarebbe tagliata i lunghi capelli forse, ma prima o poi avrebbe guadagnato dai suoi libri.
C’erano pittori, viaggiatori, scienziati straordinari, bambini che aggiustavano biciclette e inventavano pozioni, fotografi e reporter e scalatori di montagne altissime.
Era bello dire “Da grande farò” e mettere le mani nelle cose, costruire mondi con i lego, fare vivere alle bambole avventure straordinarie: tutta quella creatività ci faceva sentire vivi, potenti, pieni di strade davanti a noi. Crescendo, i nostri desideri, le inclinazioni verso la creatività sono state il modo in cui abbiamo conosciuto il mondo, lo abbiamo sperimentato e ci hanno reso meno spaventati, nella scoperta di tutto quello che non potevamo dominare, come nei piccoli mondi infantili che ci eravamo costruiti.
La tomba della nostra creatività
Poi però è arrivato il giorno – perché arriva per molte persone – in cui qualcosa si è spento: la parola creatività, un termine colorato, pieno di potenzialità, è diventata grigia, un vocabolo di pietra che ha smesso di appartenerci.
È arrivato il giorno in cui alla maggior parte di noi è venuta vergogna di quel tempo in cui avremmo voluto diventare architetti, scrittori, pittori, fumettisti, esploratori e scienziati.
Probabilmente è successo quando ci hanno spiegato che “Con i libri non si mangia“, “Non perdere tempo con le tue fantasie e pensa a farti un futuro professionale!“, “Non sei abbastanza bravo a (…) figurati se potrai vivere della tua creatività!“. Probabilmente per qualcuno è stata roba di un attimo, un colpo secco e via, per altri si è trattata di una lunga agonia, una malattia che invade un pensiero e poi si estende a tutto il corpo, fin quando non si opta per un dignitoso suicidio assistito.
La creatività è MORTA, o almeno così abbiamo voluto credere.
Non le abbiamo più lasciato posto nella nostra vita, non le abbiamo concesso spazio, se non per portare fiori al sepolcro, nella memoria della nostra vita passata.
Il lavoro: niente fantasia, niente creatività, tanto a cosa mi serve?.
Il tempo libero: sono così distrutto dopo una giornata in ufficio che l’unica cosa che desidero è piazzarmi sul divano. Mi leggo un bel libro ma duro 5 minuti, prima di addormentarmi.
La creatività ha a che fare con la percezione della nostra capacità di apprendere
Brené Brown in La forza della fragilità racconta che tra le interviste che ha fatto, molte delle persone che nella propria vita si sono sentite umiliate, hanno ricondotto questo sentimento a un evento specifico accaduto negli anni della scuola, durante il quale un professore o qualcuno di “autorevole” ha cambiato per sempre la percezione della loro capacità di apprendimento dicendo che non erano abbastanza bravi a scrivere, disegnare o suonare. L’autrice americana la chiama la “cicatrice della creatività”.
A me è successo in I liceo: la mia professoressa di Italiano, al contrario dell’insegnante del ginnasio, mi disse che i miei temi valevano molto poco perché ci mettevo più fantasia che notizie e che per scrivere bene bisogna concentrarsi sulle notizie. Io avevo il mio stile personale, ogni volta che scrivevo qualcosa cercavo di sperimentare punti di vista diversi (anche nelle recensioni) e lei trovava questa mia ricerca un “vezzo” di cui dovevo ripulirmi. Al ginnasio ho collezionato molti 9 e alcuni 10 che si sono trasformati in un 5 (o sufficiente stentato) al liceo, uccidendo ogni mia velleità scrittoria per molto tempo.
Eppure, se ci pensi, il fatto che qualcuno non abbia riconosciuto i nostri meriti non li rende meno validi: è anche quello un punto di vista.
Il fatto che qualcuno non riconosca i nostri meriti creativi non dovrebbe rendere meno bello fare ciò che amiamo.
Perché poi, che cos’è la creatività se non la realizzazione fisica di qualcosa che è dentro la nostra mente?
A un certo punto bisogna ripulirsi dello stereotipo secondo cui della creatività (o dell’aspirazione alla creatività) ci si debba vergognare.
A un certo punto bisogna smettere di raccontarsi come persone “mediocri” o che non hanno tempo per certe sciocchezze.
La creatività: uno strumento per le persone e le aziende
Hai mai provato a usare la carta e la penna per scrivere – di getto – quello che senti rispetto a un contesto professionale o a una situazione relazionale?
Hai mai provato a lavorare con le mappe mentali e i colori?
Ti sei mai concesso una passeggiata, alla fine di una riunione di lavoro, per lasciare che le gambe dettassero il ritmo dei pensieri e facessero emergere quelli più importanti?
Le persone che incontro in azienda o durante i miei workshop hanno tutte in comune una cosa: desiderano imparare, desiderano mettersi in gioco ma fanno molta fatica a farlo “liberamente”. Sia che parli di comunicazione e scrittura per web e social media, sia che parli di scrittura autobiografica, molti temono di “non essere all’altezza”, di non avere niente da dire o peggio che il corporate storytelling debba essere per forza un racconto piatto, istituzionale, lontano dall’emozione.
La creatività e la sua tomba. L’emozione e la sua negazione.
Ecco, personalmente sono convinta che se ognuno di noi si immergesse, ogni tanto, nel bambino creativo che è stato, tutto questo ne avrebbe un grande vantaggio per la vita personale ma anche per la propria realizzazione professionale.
Facciamo uscire la creatività dalla tomba, lasciamo che prenda aria e torni a vivere: non serve avere un libro sugli scaffali di una libreria per decidere di cominciare a scrivere e a comunicare. Non dobbiamo essere dei manager rampanti per decidere che possiamo valorizzare al massimo le nostre passioni anche in contesti professionali.
La creatività è democratica, facciamo in modo che lo siano anche i nostri pensieri.
Io posso testimoniare come non sia mai troppo tardi (a me è successo a 40 anni) per capire come la creatività può diventare un potente strumento per stare bene e lavorare.
Basta portare fiori su una tomba, scoperchiala, guarda come si è trasformata la tua creatività, fai pace con la percezione di te e ricomincia a giocare! A casa e in ufficio.