Social Network: dipendenza, disintossicazione, giusto mezzo
Ieri ho letto questa bellissima intervista ad Alex Giordano che riflette criticamente sulla Social Innovation e sul suo rapporto con i Social Network, reduce da una “disintossicazione” di 3 mesi e mi sono messa a pensare al rapporto che ciascuno di noi ha con Facebook, Twitter e tutti i canali di condivisione digitale che oggi fanno parte del nostro quotidiano. Un’affermazione di Alex continua a martellarmi nella testa:
Tra tanta enfasi della socialità in realtà quello che ci piace celebrare sono solo “ipotesi di relazione”. Stiamo preferendo la pornografia alla sensualità, in un’orgia evolutiva al ribasso: abbiamo tecnologiche e strumenti che utilizziamo per scimmiottare quello che già esiste, per far peggio quello che altri strumenti anche primitivi facevano già piuttosto che metterci tutti a studiare come questi strumenti possano migliorare la nostra condizione umana”.
Le “ipotesi di relazioni” stanno prendendo il sopravvento, oltre che nella spinta al fare, imparare, rendersi utili, alle relazioni vere e proprie?
In che modo è possibile conciliare una vita ad approfondimento verticale con una spinta continua all’aprire tante finestre quanti sono i commenti, i retweet, gli aggiornamenti degli amici conoscenti e le immagini che scorrono nella nostra timeline su Instagram?
A me ogni tanto capita di sentirmi in colpa perché qualche amico, quando ci si incontra, mi racconta cose che gli sono successe e di fronte al mio stupore mi chiede: “Ma scusa, non lo hai letto su Facebook? L’ho postato ieri.”
Io su Facebook ho all’attivo 1745 amici conoscenti e difficilmente riesco a seguire gli aggiornamenti di tutti.
Ci ho fatto caso, sono più aggiornata sulle novità delle persone che conosco meno (ho scelto di accettare le richieste di amicizia di chiunque, consapevole che avendo un blog, la mia vita digitale è pubblica) rispetto a quello che accade alle persone con cui esco a cena o vado in gita al mare.
Perché?
Perché faccio fatica a tenere la relazione umana forte su un livello digitale altrettanto intenso: rispetto alle persone con cui parlo e mi confronto, non ho bisogno di commentare i loro status. Preferisco parlare a quattrocchi.
L’estate scorsa, in un momento di grande stress digitale (mi concentravo poco sul mio lavoro, sulla mia creatività, a favore di un’intensa vita social che mi portava a sera con la sensazione di essere molto stanca e molto poco concreta rispetto ai miei progetti) avevo deciso di concedermi una pausa. Difficile farlo, quando con Facebook, Twitter e compagnia bella ci lavori. Ma ci volevo provare. Ne sentivo l’esigenza.
Poi, come spesso capita, non ne ho fatto niente. E’ bastato staccare un po’ naturalmente, grazie alle vacanze, e quella pressione è andata diminuendo. Ma ho cambiato il mio approccio. Da settembre cerco di essere molto distaccata. Se fino a qualche anno fa, quando per esempio fondai la community Donne Pensanti, ero convinta che il web fosse lo strumento di cittadinanza attiva più potente in assoluto, oggi credo che il web e la condivisione in particolare, vanno affiancati ad altre attività, specie per quanto riguarda l’attivismo, che sono molto più importanti.
Tra il 2008 e il 2010 ho vissuto di “ipotesi di relazioni” che mi drenavano moltissime energie: la mia esposizione faceva si che quelle ipotesi fossero tantissime e di conseguenza che venissi contattata per partecipare a molti progetti, la maggior parte dei quali allettantissimi dal punto di vista sociale, in una frammentazione dell’impegno che era diventata insostenibile per una donna che ha bisogno di dormire “almeno” 8 ore per notte 😉
Molti di quei progetti non andavano in porto, oppure si arenavano di fronte alla prima difficoltà concreta (spesso collegata all’impossibilità di incontrare fisicamente tutte le persone che tessevano reti con me). Oggi ho scelto di lasciare sempre sedimentare le proposte, le idee, i legami deboli che la Rete mi regala (e che sono doni grandissimi, perché moltiplica la possibilità di venire in contatto con progetti virtuosi) e poi passare un “colino” emotivo che mantenga intatto ciò che REALMENTE sento di poter fare e affrontare.
Le mie attività personali online sono diminuite, sono diminuite le connessioni, ma sono aumentate le cose che faccio e che porto fino in fondo.
Su Facebook, anche quando ne avrei la tentazione (come capita a chiunque), mantengo rapporti superficiali. Questo non significa che siano relazioni false o poco costruttive, ma preferisco agire la vita di relazione su un piano personale che mantenga intatti i tempi fisiologici della conoscenza, fiducia, stima.
Prima mi innamoravo di tutti, ora amo pochi. Grazie alla Rete ho stretto legami fortissimi, come con lei, per esempio, conosciuta prima nel digitale e che ora è una mia cara amica e non è un caso che attualmente preferisca invitarla a pranzo (che poi tanto paga sempre ;-( piuttosto che commentarla sui social network, dove comunque la seguo.
Il sabato e la domenica controllo il mio smartphone di rado. Non rispondo a mail di lavoro, tranne che io non sia sotto evento e dunque anche il sabato e la domenica non siano giornate lavorative. A molti sembrerà qualcosa di scontato, vi assicuro che per chi è un libero professionista, non lo è affatto.
Non appoggio il telefono sul tavolo quando sono a cena con la mia famiglia o con amici e cerco di resistere alla tentazione di controllare i miei account, ogni volta che lo sento suonare o vibrare.
C’è chi – come questo scrittore inglese – auspica una cura “drastica” e intravede nell’uso incondizionato degli smartphone e dei social network un rischio relazionale altissimo. C’è chi si è inventato la APP per obbligarsi a disconnettersi o il Prosciutto di Parma che ha lanciato una campagna di comunicazione basata sull’analisi e diagnosi del tuo stato di dipendenza dai Social. Ci sono strumenti che ci permettono di eliminare le nostre tracce digitali, in vista di un eremitaggio o “rivergination” presente e futura e chi fa veri e propri esperimenti, come Alessandro, che per 30 giorni ha evitato di usare i propri profili digitali.
Lui ha imparato delle cose, dal suo esperimento, come per esempio che gli è aumentata la spinta creativa e che forse i social network, ogni tanto, diventano dei veri e propri sostituti dei reality tv, costringendoci a guardare la vita degli altri, come davanti a un acquario.
Circa un anno fa Bimbo Alieno, un blogger molto seguito, decise di “ammazzare” il bimbo alieno per tornare ad essere solo se stesso e contestualmente chiuse il blog, con un post che mi colpì molto. Faceva riferimento alla sua famiglia, al TEMPO tolto ad altre attività e alle sue RELAZIONI. Su Quotidiano Europa articolò le ragioni della sua scelta.
In tutte queste storie vedo alcuni fili comuni, parole chiave che sottostimiamo troppo spesso: RELAZIONI, TEMPO, EMOZIONI.
Io non so come sarà la mia vita online da qui a quando finirò in una cassa (digitale o reale che sia), ma so per certo che quello che voglio sempre tenere a mente e che spero di passare anche ai ragazzi, quando vado nelle scuole, è che qualsiasi cosa, quando si naturalizza troppo, può diventare pericolosa.
Meglio, ogni tanto, guardare dall’alto se stessi e ciò che si fa e farsi delle domande.
Le risposte, quelle, a volte sono secondarie.
Trackbacks & Pingbacks
[…] Tempo fa ho conosciuto una bravissima blogger-comunicatrice (Francesca Sanzo). In un post in cui parla di disintossicazione e di “ipotesi di relazione” conclude lo scritto dicendo “qualsiasi cosa, quando si naturalizza troppo, può diventare pericolosa”. (Fonte: https://www.francescasanzo.net/2014/05/20/social-network-dipendenza-disintossicazione-giusto-mezzo/) […]
I commenti sono chiusi.