L’importanza delle parole dei Media
In questi mesi estivi, durante i quali si sono consumati numerosi omicidi di donne da parte di familiari, conviventi, ex mariti, ex amanti o corteggiatori, oltre al giusto sdegno e alla riflessione sull’importanza di promuovere un’etica diffusa del rispetto reciproco per contrastare il fenomeno cercando di comprenderne le cause sociali oltre a quelle personali, mi è capitato di interrogarmi spesso sul ruolo del linguaggio.
Ho letto sempre con grande attenzione gli articoli dei giornali, le cronache di questi eventi e via via che scorrevo pagine, storie, resoconti più o meno dettagliati, mi rendevo conto che in molti casi a questi fenomeni di violenza venivano associati termini che stonavano, che giustificavano, che in qualche modo straniavano dalla realtà quotidiana l’evento o l’assassino e che isolavano il fatto, come se si trattasse di un unicum di grande eccezionalità.
In molti, durante il mese di luglio hanno sottolineato come sia importante non chiamare questi omicidi delitti passionali, perché di passionale e amoroso non hanno nulla, ma secondo me c’è anche dell’altro.
Il 29 luglio sono nelle Marche dove il giorno precedente Claudio Alberto Sopranzi, guardiano del campeggio dove ho trascorso numerose estati della mia adolescenza, ha ucciso la madre e la sorella della donna che l’ha lasciato – davanti ai figli di questa – e lo ha fatto con una Berretta in suo possesso, andando a casa delle donne.
Dopo averle uccise è scappato, si è liberato del cellulare e della pistola e ha girato per lungo tempo per i campi.
Il Corriere Adriatico nell’edizione cartacea del 29 luglio, in una serie di articoli dedicati al fatto scrive:
Strage per amore, uccise due donne
titolando a prima pagina.
Lite e minacce prima dell’esplosione di follia
è il titolo di un secondo articolo
Si parla anche di “Trance” e “Raptus omicida”.
E’ l’assassino, una volta arrestato, a dire che non sa cosa ha fatto, che pensava di essere al poligono di tiro.
In questo caso, per fortuna, gli inquirenti non credono al raptus (l’uomo si è liberato del cellulare subito dopo l’omicidio, procurandosene uno nuovo e tentando di fuggire) ma il lessico, il lessico giornalistico inganna.
Ora. Definiamo Trance. Wikipedia scrive:
Tra i comportamenti caratteristici si osserva l’aquiescenza acritica al comando con agiti consapevolmente o inconsapevolmente indipendenti dalla volontà con o senza perdita della memoria di circostanza.
Il raptus è invece:
un improvviso impulso di forte intensità che può portare ad uno stato ansioso e/o alla momentanea perdita della capacità di intendere e di volere.
Siamo proprio sicuri che un uomo che utilizza schede telefoniche “pulite” e tenta la fuga in macchina sia in trance o sotto l’effetto di un raptus? E’ davvero follia, intesa come incapacità di intendere e volere?
Ovviamente il caso di cui sto parlando è solo un esempio, uno dei tanti esempi di come questo genere di eventi vengono narrati.
La narrazione è importante perché delinea l’immaginario del lettore. Parlare di follia, raptus, trance è già un punto di vista.
I giornali, le televisioni, i media contribuiscono – e non solo sulla questione di genere – a promuovere immaginari e nelle scelte dei Palinsesti e delle prime pagine c’è già un messaggio.
Il mezzo è anche un messaggio e in questo caso il mezzo linguistico è portatore di significato.
In questo periodo estivo, così tragicamente costellato di delitti contro le donne, ho davvero riflettuto sull’importanza della comunicazione per innescare un cambiamento.
Quando i giornali, le televisioni, i Media cominceranno a parlare e riflettere sulla questione e a farlo in un modo interrogativo e non scontato, senza usare formule obsolete o tranquillizzanti, allora il problema verrà percepito come tale a livello generale.
La rivoluzione culturale – su tutti i fronti – in Italia deve partire da giornalisti coraggiosi. Deve passare dalle redazioni e dall’Informazione.
La rivoluzione culturale, la resistenza al livellamento verso il basso deve attraversare il linguaggio, portare parole che abbiano peso specifico.
E’ fondamentale.
Forse per questo applaudo al fatto che – seppur in seconda serata e non sulla rete ammiraglia – domani sera andrà in onda sulla Rai il documentario Il corpo delle donne. Non è molto, se non seguiranno atti altrettanto significativi, ma è già qualcosa.
Per questo ho accolto con entusiasmo l’approfondimento de l’Unità di una decina di giorni fa sulla questione femminile e sono fermamente convinta che ci sia un gran bisogno di parole nuove che parlino di questi problemi.
Parole che trovino nuova forza e sappiano mettere in discussione più che definire.
Perchè le de-finizioni, lo dice la parola stessa, concludono, mentre noi siamo solo all’inizio di quella che deve essere una nuova via verso il rispetto.
Il punto che sollevi è fondamentale. La scelta delle parole da parte di tutti, ma del giornalista soprattutto, dovrebbe essere sempre ben calibrata. Esiste una parola per definire qualsiasi cosa, evento o situazione. E’ ingiustificabile, dunque, che un giornalista (che lavora con le parole) faccia ricorso a luoghi comuni oppure a termini che hanno tutto un altro significato.
Io da qualche tempo ho deciso – ed inviterei tutti a fare la stessa cosa – di scrivere direttamente a giornalisti i cui articoli ho trovato offensivi o superficiali. Non serve un giornalista investigativo per scoprire vie dirette a questi personaggi. Gian Micalessin ad esempio, autore di un recente articolo razzista nei confronti degli immigrati moldavi, si trova su Facebook. Altri forniscono le loro e-mail direttamente sotto i loro articoli. Nel caso di articoli non firmati, si scrive al direttore e alla redazione.
Se iniziassimo a scrivere e-mail di protesta in migliaia, le cose cambierebbero, ne sono convinto. E’ successo per quella pubblicità sessista dei pannelli solari, può succedere anche nel caso di giornalisti che scelgono male o in maniera distratta le proprie parole, causando danni di cui nemmeno si rendono conto.
@nicola: è davvero una bellissima idea, hai ragione. bisogna far capire a tutti quelli che concorrono all’immaginario collettivo, al sapere sociale, che hanno una RESPONSABILITA’ pari a quella di chi opera a cuore aperto
Giusto. Poi in questi delitti sottolineerei un’altra cosa: la maggior parte di questi assassini non si devono procurare un’arma perché ce l’hanno già, formalmente per motivi di lavoro (militari, custodi, etc.): è l’occasione che fa l’uomo omicida o dobbiamo piuttosto pensare che il fatto di svolgere una professione che espone quotidianamente al contatto con degli oggetti portatori di intrinseca violenza è una scelta, per quanto inconsapevole?
Salve a tutti! concordo pienamente con l’articolo di Francesca, le parole usate dai media sono fondamentali, come è importantissimo lo spazio che i media possono decidere di dare a questi gravissimi atti di violenza. io da qualche mese non seguo la tv italiana perchè mi trovo in Spagna per studiare il processo di costruzione della ley de genero. La cosa che sto osservando è che qui in Spagna ogni norma che è stata approvata in tutela delle donne è stata approvata solo a seguito di episodi tragici consecutivi, proprio come quello che sta avvendendo in Italia. Se queste morti ingiuste hanno un significato è ALMENO quello di evitare che se ne verifichino altre. A noi la responsabilità di usare bene questo momento delicato… e se non ci danno lo spazio, prendiamocelo!a questo punto mi chiedo: dove sono i movimenti femministi in Italia? cerchiamo la collaborazione tra donne prima di tutto e poi con quegli uomini che condannano l’immagine dell’uomo “che non deve chiedere mai”. alleiamoci, insieme possiamo farlo!
Certo Michela, mobilitiamoci, ma come? forse è un effetto della micromobilitazione delle donne su web il fatto che la prima puntata di “presa diretta” a settembre sarà dedicata al confronto tra il ruolo delle donne nella vita politica degli altri paesi europei e quello delle donne nella vita politica in Italia. Forse è un altro sintomo il fatto che oggi, nell’ambito del programma della mattina di rai tre, si sia tentato di rispondera alla domanda: che cos’è un “raptus”, e se è giusto usare questo termine con leggerezza, come è invalso nell’uso giornalistico. Non ho seguito che un frammento della trasmissione, e mi farebbe piacere sapere se si è affrontato pure il tema del formulario di rito maschilista che accompagna il “raptus”, costituito dalla litania del “delitto passionale” e dell’ “omicidio per amore”. Se non si fosse puntato anche sull’uso di queste locuzioni, sarebbe stata una ben grave lacuna. Imputabile allo scarso (per ora) potere di pressione delle donne consapevoli. Che vogliamo fa’?
che buona notizia, non lo sapevo, grazie! vedrò di non perdermi la puntata su internet almeno!
per quanto riguarda il dafarsi io sono di questa idea:
– preparare contenuti tecnici, dati, esperienze locali ed europee di rilievo (al fine di imparare dalle “migliori esperienze”)
– utilizzare la rete al solo fine di condividere documenti e organizzare gli incontri
– recuperare la dimensione personale, attraverso reti umane gia esistenti (per evitare spreco di tempo che è una risorsa importante!) e “utilizzare” il sapere dell’esperienza gia acquisita da altri prima di noi.
tenterei questa strada dell’associazionismo ma per la mia età (24) e per il fatto che sono all’estero da un po mi risulta difficile avere contatti. pensavo ad associazioni note come telefono rosa, o la rete DIRE (centri antiviolenza se non sbalgio). che ne pensi?
se sei interessata al tema della partecipazione poltica ti lascio questo articolo che ho scritto dal nord europa sul tema delle quote rose http://www.ilvessillo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=33:italia-e-ue-il-dibattito-sulle-quote-rosa&catid=31:donne&Itemid=7
@michela: donne pensanti si sta costituendo come associazione e proprio perché pensiamo che la rete debba essere solo il mezzo e non il fine, abbiamo molti progetti con scuole, eventi nelle città, ecc sui temi che proponiamo per promuovere modelli alternativi di femminile. esiste per altro un social net e se ti vuoi iscrivere sei la benvenuta: donnepensanti.ning.com, se vorrai associarti ci farà molto piacere!
Credo che il linguaggio sia basilare nel riportare notizie di donne uccise per NON-AMORE come io definisco il possesso dei loro corpi da parte di uomini che sono stati educati male, soprattutto, da madri e, quindi, donne. Questo avviene principalmente perchè la maggioranza delle donne si sottomette a clichè e stereotipi arcaici che la rendono schiava perchè ama troppo soffocando la vera natura dei propri figli. In inglese esiste il termine smother per dire soffocare e questo dovrebbe far riflettere.
AIUTO!
In una delle estati peggiori per numero e gravità delle violenze maschili contro le donne, Maurizio Costanzo, uno dei più importanti giornalisti italiani e uno dei protagonisti indiscussi del nostro sistema televisivo, scrive su Chi, una delle riviste “di famiglia”, un articolo che lega violenza e passione. Il legame, manco a dirlo, è virtuoso: “Botte, insulti… E d’incanto scatta l’eros, che azzera tutto”.
http://uominiedonneeamici.forumfree.it/?t=49957623